Quanti anni può andare indietro il Fisco durante i controllo bancari? Quali sono i limiti di tempo previsti dalla legge.
Nel complesso universo delle normative fiscali italiane, una delle questioni che genera maggiore ansia tra i contribuenti è la capacità del Fisco di effettuare controlli retroattivi sui redditi e le attività finanziarie.
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Comprendere i limiti entro cui l’Agenzia delle Entrate può operare è fondamentale sia per una pianificazione economica oculata sia per mantenere un clima di serenità riguardo alle potenziali ispezioni.
Fisco, quanti anni può andare indietro per i controlli bancari
La legislazione italiana pone dei limiti ben definiti, noti come termini di decadenza, entro i quali l’Agenzia delle Entrate ha il diritto di esercitare i suoi controlli. Questi limiti variano in base al tipo di imposta e alle circostanze specifiche che circondano ogni caso. Per le imposte sui redditi e l’IVA, i termini ordinari di accertamento sono stabiliti rispettivamente dall’articolo 43 del DPR 600/1973 e dall’articolo 57 del DPR 633/1972.
In presenza di dichiarazioni infedeli, l’accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Se la dichiarazione manca o è nulla, l’accertamento può estendersi fino al 31 dicembre del settimo anno successivo. In alcuni casi, i termini di accertamento possono raddoppiare, soprattutto se si verificano violazioni che configurano reati tributari. Se viene presentata una denuncia per reato fiscale, l’Agenzia delle Entrate dispone di un periodo più lungo per i suoi controlli.
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Ad esempio, per un contribuente che non ha dichiarato redditi da lavoro nero o ha omesso fatturazioni, il Fisco può intervenire con un accertamento fino a nove anni dopo, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione, o sei anni se la dichiarazione è stata presentata ma risulta incompleta o errata. Un caso particolare riguarda il deposito di contanti in banca senza una chiara dimostrazione della loro provenienza legittima. Qui, i termini sono di cinque o otto anni, a seconda che la dichiarazione dei redditi sia stata presentata o meno.
È cruciale notare che esistono situazioni che possono estendere i termini ordinari. Un esempio è l’articolo 5-ter del DLgs 218/1997, che prevede una proroga di centoventi giorni per l’accertamento se tra l’invito al contraddittorio e la scadenza ordinaria intercorrono meno di novanta giorni. Allo stato attuale, l’Agenzia delle Entrate può quindi esaminare le dichiarazioni relative agli anni fino al 2019 (per quelle regolarmente presentate) o fino al 2017 (per quelle omesse o nulle). È importante ricordare che eventuali sospensioni dei termini, come quelle dovute a emergenze sanitarie, possono allungare questi intervalli.